Da qualche anno a questa parte le redazione dei giornali si sono riempite di stagiste. Le provenienze sono le più diverse: scuole di giornalismo, facoltà di scienza delle comunicazioni, cerchia familiare dell'editore. Ma in genere si tratta di ragazze preparate ed entusiaste della professione, un segno della crescente femminilizzazione del giornalismo. Sembrerà incredibile, ma la maggior parte della casta giornalistica ha un'istintiva repulsione per le stagiste. Giocano pesantemente in questo caso la difesa di una presunta identità maschile del ceto, la mai sconfessata credenza che i giornalisti si fanno con la gavetta e non con le scuole, la (pur giustificata) convinzione sindacale che gli stagisti vengano ormai adoperati dagli editori come carne da cannone in sostituzione di più costosi contratti a tempo determinato.
Invece le stagiste hanno portato una delle rare ventate d'aria fresca in questa sempre più polverosa professione. Intanto obbligano i colleghi a moderare il linguaggio cinico e maschilista (o a potenziarlo per mettersi in evidenza...), incitano implicitamente a una maggiore cura dell'abbigliamento (via qualla cravatta sporca d'unto, meglio una polo vintage...) e hanno la grazia e il candore per porre quelle domande che tutti dovremmo farci almeno una volta al giorno: 'perché hai messo sul giornale quella foto segnaletica del tipo arrestato con un grammo di hashish? Così crocifiggiamo un povero sfigato per una sciocchezza e poi mi sembra che ci sia una legge che lo vieta...'
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2 giorni fa
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