martedì 14 ottobre 2008

E' vero: i giornalisti inventano

Uno dei luoghi comuni più fastidiosi sulla professione giornalistica è il trito 'i giornalisti s'inventano le notizie'. Ora, a parte che questo fa a pugni con l'altro assunto popolare che i giornalisti nascondono le notizie, bisogna avere però lo stomaco di ammettere che a volte è vero. Non solo nei casi eclatanti e negativi del reporter americano scoperto ad inventarsi di sana pianta reportage esclusivi (ci hanno pure fatto un film: il reporter è stato radiato, ha preso un master in legge e ora fa l'avvocato di successo....) e del cronista sardo sospeso dal lavoro per un anno dopo aver creato dal nulla una storia strappalacrime. Senza dimenticare lo storico caso del maestro Luzzato Fegiz al Corsera: la serata finale del festival di Sanremo una decina d'anni fa prevedeva l'esibizione attorno a mezzanotte dell'ospite d'onore, il grande Elton John. Fegiz, ovviamente per mettersi avanti col lavoro e stare nei tempi di stampa del giornale (o forse per andarsene al ristorante...) concluse l'articolo prima, magnificando l'esibizione della star britannica. Peccato che quella sera Elton John dette buca a Sanremo e tutta l'Italia il giorno dopo sghignazzò leggendo sul Corrierone la cronaca dell'entusiasmante concerto che non c'era mai stato.
Ma l'invenzione accade quotidianamente ed è pure una strategia di sopravvivenza. Ci sono infatti interlocutori che, incredibile a dirsi, nonostante il ruolo pubblico rivestito, sono incapaci di spiccicare frasi di senso compiuto. Al povero cronista non resta quindi che estrapolare il senso di una loro dichiarazione e renderla in una forma minimamente accettabile, alle volte ricostruendo interi passaggi logici che ovviamente l'intervistato ha bellamente saltato. Il più bel complimento che ho ricevuto dopo la pubblicazione di un'intervista è stato: 'Sottoscrivo tutte le mie parole nell'articolo, anche quelle che non ho mai detto!'
Un caso limite è quello capitato a un mio giovane collega appena pochi giorni fa. L'attore Gabriele Lavia è atteso a Forlì per mettere in scena Shakespeare al Fabbri. L'ufficio stampa organizza un appuntamento telefonico per un'intervista di presentazione dello spettacolo.
Pronto, Lavia? Sono il giornalista del Carlino per l'intervista...
Oh guardi, adesso non ho tempo, sono qui con Maria Fragolina (la figlia,ndr) e non ho voglia di parlare con lei
Ma eravamo d'accordo con l'ufficio stampa, mi hanno detto che...
Sì, sì, va bene, l'intervista è importante, ci tengo anch'io. Se la inventi
Ma come? Inventarla?
Sì, l'ha già fatto Luzzato Fegiz sul Corriere ed è venuta benissimo. Faccia come lui, copi dal mio sito internet, ci metta qualche bella dichiarazione e vada tranquillo. Io non la smentirò neanche se mi fa dire 'Sì, sono una busona!' (testuale, ndr)
Mi scusi, ma non mi pare professionale
Ma cosa dice, lei deve fare come il monaco arciere che mira al bersaglio con la benda sugli occhi... cameriere, un cappuccino e una cioccolata calda!

Ovviamente il collega non se l'è sentita di fare come il monaco bendato ed ha scritto una presentazione dello spettacolo inserendo alcune precedenti dichiarazioni di Lavia. Chissà se erano vere.


Sui referendum di Grillo

L’informazione è libera e l’ordine dei giornalisti limita la libertà di informazione. Chiunque deve poter scrivere senza vincoli se non quelli previsti dalla legge.
I giornalisti liberi straccino la tessera, non ne hanno bisogno, il loro unico punto di riferimento è il lettore.
Il 25 aprile si firmerà per un referendum in tre punti per una libera informazione in un libero Stato. Il primo punto sarà l’abrogazione della legge 66/1963, perchè l’accesso alla professione di giornalista e il suo esercizio siano liberi da vincoli burocratici e corporativi di sorta.
dal blog di Beppe Grillo


Grillo dice tante cose giuste e sacrosante che ogni tanto ha diritto di dire anche qualche stronzata. Nella sua battaglia per la libertà d'informazione (ripeto: sacrosanta al 99%) sta inanellando però una serie vorticosa di stronzate, fuori limite. Ma il problema non è lui che parla. E' che tanti lo ascoltano, pendono dalle sue labbra e si bevono tutto. Grillo ora è partito a testa bassa contro l'Ordine dei Giornalisti come emblema della casta: l'albo mussoliniano dei giornalisti. A parte che il buon comico miliardario non ha ancora spiegato in cosa consiste la casta dei giornalisti (il fatto di essere pagati a fine mese? Peccato per lui, succede solo ad alcuni fortunati peraltro senza contratto da due anni, una buona metà sopravvive con compensi da fame), bisognerebbe forse spiegargli (e questo lo dovrebbe fare proprio l'Ordine) che sui giornali, da sempre, possono scrivere tutti: giornalisti iscritti all'Ordine, giornalisti dilettanti, semplici cittadini. E' un principio costituzionale, ma forse Grillo non conosce queste cose. Rispetto ad altre professioni, l'appartenenza all'Ordine dei giornalisti è successiva all'entrata nella professione e non è affatto un limite! Nel senso che prima si viene assunti, poi _ avendo la qualifica professionale di giornalisti _ si entra nell'Ordine. L'appartenenza all'Ordine non dà luogo _ sembrerà incredibile a Grillo _ a nessun privilegio. In realtà per i giornalisti (contrariamente ad altri ordini professionali) non esiste neppure un vero segreto professionale. Il giornalista convocato in aula di Tribunale come testimone deve infatti parlare: altrimenti va dentro! L'espulsione dall'Ordine dei giornalisti _ come dimostrano ampiamente i casi di Farina, Feltri e altri _ non preclude nemmeno la prosecuzione dell'attività giornalistica. Allora a che serve l'Ordine dei giornalisti? A nulla, appunto. E' solo un organo burocratico, parastatale, che ha la sua unica ragione di vita nella riscossione delle quote annuale di tesseramento. I suoi compiti di controllo sul rispetto della deontologia e dell'indipendenza dei giornalisti sono perseguiti con risultati risibili: il grave stato dell'informazione in Italia (e qui in termini generali Grillo ha ragione) è sotto gli occhi di tutti, ma l'Ordine tace. Mentre la categoria (a parte i teledivi e pochi altri) è sotto il tallone di editori che troppo spesso considerano i giornali come mezzi di pressione politico-economica oppure come depliant pubblicitari. Ed è per questo che da decenni, prima che se ne accorgesse Grillo, sono migliaia i giornalisti che chiedono l'abolizione di questo vecchio simulacro dell'indipendenza.

Ma tutto questo c'entra ben poco con la libertà d'informazione. Anzi, a rigor di logica, ci vorrebbe un ordine professionale più forte e incisivo. Ma tutto questo Grillo non lo sa. O fa finta di non saperlo.

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